martedì 7 ottobre 2014


AUTUNNO A NEW YORK
Prima tappa: Central Park Impareggiabile la nostra guida, Giovanna. E’ nativa di Ferrara ma vive da 26 anni a New York. Ci ha trasmesso in questa veloce escursione,tutta la sua devozione per questa città,si capisce che la ama. Ne conosce ogni angolo ,ogni stradina,sa dove cadono le foglie, dove va a finire il tuo pensiero, percepisce con felicità il tuo stupore mentre cammini con lo sguardo perso verso questo strano cielo incorniciato di pareti a quadretti,dove la luce, nei pertugi tra una pagina e l’altra,gioca rimbalzando sui vetri.
Sono le otto e trenta del mattino,mentre in Italia il mondo è già a tavola, noi ci siamo appena svegliati e ci lasciamo alle spalle l’albergo: al di là della strada ci attende una limousine taxi che occupa tre terzi del marciapiede e che Giovanna ha fermato al volo.
Ci accomodiamo e, mentre la nostra guida dà disposizioni all'autista sulla destinazione, noi ci scambiamo occhiate che sono tutte un programma e che non necessitano di parole.
Giovanna ci aveva esaminato bene la sera prima,quando è venuta a prenderci all'aeroporto.
Ha capito che volevamo vedere il meglio e in poco tempo, appena un giorno e mezzo.
Gambe! Ha detto, ci vogliono gambe e cuore naturalmente. Così ci ha voluto far assaporare in anteprima,un tocco di magia,il sogno vero o la realtà fantastica di questa città prestigiosa sofisticata ma pure umana, al di là dei suoi mille piani proiettati verso il cielo.
Ci ha condotto dunque al Central Park che spacca in due il cuore di New York e pure
quello dei newyorchesi per riavvicinarli a respirare con tenerezza l’autunno più incantevole del mondo,quello immortalato da Frank Sinatra tra le righe di ‘’ Autunno a New York ‘’
Qui l’autunno è un gioco di maestria impareggiabile,dipinto in una realtà impareggiabile da un pennello di elevata arte. Tra la nebbiolina diffusa appare un collage aereo di colori crepuscolari dove le foglie si spengono tra una moltitudine di sfumature e, interpretano il ruolo più rilevante nel tema autunnale. Vivendolo così in prima persona, questo spettacolo, ho capito d’aver capito perché nessuno resista al brivido che ti percorre dinanzi alle cose che si impadroniscono di te lasciandoti incapace di opporti, e tali cose ‘più grandi’ comunicano con te.
Dolce, sofisticata,New York diffonde dal suo parco,come un essenza, questi sentimenti per tutti coloro che vi vivono ma di più per quelli che sopravvivono in una intesa collettiva che fornisce loro un legame di umanità fraterna. Ad ognuno dà un illusione di serenità sotto forma delle sue mille sfumature dei suoi colori,e della luce che esprime le sue variazioni cromatiche. E’una concorrenza  di movimenti ,di aliti di vento,di luci, di cristalli, di riflessi. E’ un sorriso enigmatico di Monna lisa impercettibile e presente.
E’ la vittoria della solitudine,quella vera,che accampa la sua piccola tenda in un angolino di ognuno di noi.
Uno specchio di lago,raddoppia gli effetti capovolgendo il cielo, mentre piccoli scoiattoli ci attraversano timidamente la strada. Ho la testa satura di emozioni, gli occhi che strabuzzano da un punto cardinale all’altro, anche i sassi sono belli, ne raccolgo uno;
Ci scriverò: Autunno a New York, mi servirà a farmi rivivere questi istanti. 

Circolano le biciclette e i pattinatori ai quali,per un tacito accordo, non si può interferire la corsa. Giovanna ci guarda con un sorriso,mentre il passo ci affanna,e ha l’aria di prometterci altre emozioni ma non si lascia andare in spiegazioni.  Tutto sarà imprevedibile proprio come lei.
Il tempo stringe, anche se qui, le giornate sembrano più lunghe (forse lo sono) e il parco non è per chi ha fretta... Ce lo lasciamo alle spalle pronti ad assaporare altre rare sorprese.
Ci inghiotte il metrò,il treno velocissimo raggomitola distanze lunghissime sulle sue
ferraglie rumorose. Siamo subito nel quartiere di Harlem. Pericolosa e affascinante ne
percorriamo le varie fasce italiane,cinesi,spagnole,negre ed ebraiche,ognuna col suo
capitolo di peculiarità, di storia e di aneddoti che Giovanna ci racconta strada facendo
La padronanza e la sicurezza che lei ostenta ci rende invulnerabili, al suo fianco siamo dentro una sorta di perimetro protetto. Scambia frasi, a noi incomprensibili con questo o quello e procede disinvolta, sembra conosciuta e rispettata nell'ambiente.
Ci aveva precedentemente ammonito di avere un passo deciso, la borsa ben stretta sul
davanti,un abbigliamento casuale ma soprattutto nessuna aria da turista spaesato.
Giovanna ci parla,lungo il cammino, degli ‘’Spiritual  e ci informa che si tratta di un
culto religioso della gente di colore ma che accampa proseliti anche di razza bianca e di tutti coloro che abbiano fede fervente in Dio e Gesù suo figlio naturale. Il culto risale all'incontro degli schiavi afro-americani con la religione cristiana che stillò nei loro cuori qualche barlume di speranza e i primi segni di ribellione allo stato di schiavitù. Poiché oggi è domenica,giorno di funzione, Giovanna ci indica a gesti discreti i fedeli che si recano alle loro chiese; Sono gruppi di famiglie di colore, vestiti in abiti di impeccabile eleganza gli uomini, e curiosissimo l’abbigliamento delle signore, per la maggiore sono grassocce e prosperose. Ma il look scioccante sta nel capellino vistosamente colorato, con o senza veletta e ornato da sgargianti  fiori di tessuto o di carta,o di penne di uccelli o di grappoli di frutta pannocchie o farfalle o quant'altro mai di impensabile.
E, ci informa Giovanna,che esso è il simbolo che risale al tempo dei tempi,alle loro origini di schiavi ed è di monito alla libertà individuale. Ecco una chiesa,Giovanna ci invita ad entrare. Siamo curiosi ma un poco scettici: andare in chiesa a New York ci pare eccessivo, noi che la frequentiamo ben poco in casa nostra. Ma lei è decisa e ci spinge dentro.
Restiamo coinvolti e stravolti dalle diversità umane. Il primo impatto entrando è quello del rispetto per l’ambiente,una sensazione di gravità ci percorre,senza volerlo, non si bisbiglia, si resta bloccati in un silenzio interiore.  L’intensità della fede che anima queste persone è davvero autentica. I canti di ringraziamento a ‘JESUS’
per il proprio esistere,per l’usufruire della luce del sole,per le sofferenze finite,per le tribolazioni passate,sono elevatissime: non lasciano alcun dubbio che Dio le abbia udite. Un rappresentante di Dio,prete in terra,non gode più luce di costoro. Le loro invocazioni,i loro ‘grazie’attraversano le pareti e si allargano a tutto l’universo,essi non sono più se stessi,sono al di là della loro pelle come in un fenomeno di estasi collettiva. E mentre tutto questo accade a noi ci percorre un brivido lungo la schiena che è il biglietto di partecipazione ,l’unico che ci venga richiesto.
Usciamo,la strada ci sorprende imbambolati, Giovanna sorride,sembra soddisfatta,
in qualche modo ci fa intendere che ci trova simpatici. Manco a dirlo,l’intesa è reciproca.
Lei è anche carina e fa finta di non avvedersi delle soste clandestine di Ugo sui pali del semaforo, che mi suggeriscono piedi straziati e  che non faccio fatica ad immaginare.
La maratona continua,fra poco conosceremo ‘Francos Blod’ il Picasso di Harlem.
E’ lui un colosso di due metri di colore nero. Sta tra Armstrong John e Sydney Poitiers, è il più grande decoratore  di Gates of Harlem, ovvero delle serrande  dei negozi.
Giovanna ci ha presentato ,e lui ci saluta come vecchi amici abbracciandoci.
La domenica mattina e i giorni festivi,il centro commerciale chiude i battenti, privando la città della sua fonte di animazione che è il via vai della gente che curiosa di vetrina in
vetrina. Quando queste sono sbarrate da pesanti saracinesche di ferro,l’effetto grigio è
ancor più deprimente. E’ a questo punto che Franco è brillantemente intervenuto a dare un tocco magico all'isola di Harlem. Sfruttando le sue naturali doti di pittore ha
trasformato il grigio squallore di ogni serranda in una magica finestra sul mondo favorendo coi suoi temi pittorici, l’occasione di risvegliare tematiche sociali, allegorie fantastiche spazi interplanetari, moniti di fratellanza e mille altri argomenti di interesse sociale e culturale. Animando la città, l’ha resa gaiamente ,una grande galleria d’arte all'aperto dove la gente. Prendendo spunto dalle sue simbologie ,trova
 motivo di scambio di opinioni di sorridere e di scottarsi le dita tra una caldarrosta e l’altra proprio come sta succedendo a noi. Franco, nel giro di pochi minuti,ci ha baciato e abbracciato, ci ha lasciato il suo autografo e ci salutiamo con la promessa di una sua visita a casa nostra dove lo attende la serranda del nostro garage.
Una pizzetta,una coca cola, un surrogato di caffè è il pasto frettoloso consumato in piedi.
Di fronte abbiamo il ponte di Brooklyn e in lontananza vediamo la statua della libertà, dietro la Chinatown sfavillante. Arriviamo in una piazza,un orologio sul cucuzzolo segna a grandi numeri le 19 e 30, non so se ai celesti o ai terrestri, ma la cosa che realizziamo con immediatezza sono le panchine. Si tratta di un ispirazione collettiva, a quanto pare, perché ognuno punta la più vicina. Sono pulite e spaziose ed io mi ci sdraio. In posizione supina scorgo ancora grattaceli e grattaceli e voglio farne entrare uno dentro il mirino della la mia  macchina fotografica.
 Mi pare doveroso portare a casa quest’ultima istantanea dato che la festa
sta volgendo al suo epilogo. Vorrei essere un vagabondo, mi penso, e parcheggiarmi una notte,in questa panchina,i grattaceli sembrano grandi camini accesi e non soffrirei il freddo, le magliette che ho comprato per me e per gli amici,con su scritto:New York mi faranno da  cuscino e domattina un cameriere in livrea,mi apparirà premuroso: Good morning! Ecco il suo caffè signora vagabonda! Desidera le uova al bacon? In effetti ho un buco nello stomaco, mentre il cuore si riempiva di emozioni quello si svuotava dei consueti approvvigionamenti. Ora stravedo parzialmente; Il bello nei film è che non si deve mai attendere quando si passa da un azione ad un'altra protratta nel tempo. Il nostro regista è invece cinica e prima di farci arrivare al ristorante ci fa passare in albergo a rinfrescarci e a cambiarci gli abiti sudati, ed è così lontano il ciac della ripresa del tavolo apparecchiato, che quasi svengo.
Il ristorante è cinese, avremo tempo per la cucina italiana, mi conforto,forse è un inizio di nostalgia,ma non di quella tradizionale, ho nostalgia di quanto è appena trascorso. Sebbene tutte le emozioni siano ancora calde qui dentro, tuttavia già mi incalza la malinconia delle cose che stanno per finire e che avrei voluto prolungare all’infinito.....Mi destreggio male coi bastoncini cinesi e chiedo a gesti una forchetta a un cameriere minuscolo e che mi fa tanto pensare a una mandorla.
Giovanna è invece molto abile e Ugo la scimmiotta con disinvoltura. Tempo sprecato, penso,è già uno strazio il pasto e non comprendo nulla di quello che mi porto alla bocca, qui non esiste il coperto di pane fresco da divorare all’istante,non è lo stesso con il riso.
Credo tuttavia opportuno di far buon viso a cattivo pasto così sto sull’ironico,mentre
guardo Ugo divorare avidamente tutto quello che passa Mao, il buon Dio cinese.
Fuori è mezzanotte,non vedo lune né stelle,probabilmente ricusano le altitudini dei tetti di cristallo e si sono eclissate altrove. Il soffitto ha il colore del piombo. magari gli intrugli cinesi che abbiamo appena ingerito, hanno distorto un po’ la realtà; ciò che prima era vicino ora mi appare lontano. E’ l’ora del commiato e la piccola grande avventura sta per concludersi. L’ansia del rientro uccide questi ultimi istanti perché il distacco è triste. Fortunatamente una leggera sbornia rende più disinvolta questa chiusura, ma da qualche spiffero di lucidità esala la necessità del rientro al vecchio sillabario delle cose di casa nostra.
Ero andata quasi perdendo memoria e gusto dell’uscire fuori della propria città, ed ora sono paga d’aver cavato da questa avventura qualche momento di felicità per riamare questa inverosimile vita,e ne ho avuto un insperato risarcimento che avrà,anche postumo, uno scopo terapeutico nella semplice rievocazione dello stesso, se pur condita da una febbre di nostalgia. Dunque è vero che fuori dal nostro contesto abituale,il mondo ha straordinari messaggi e lune diverse dall'ordinario quotidiano.
 NEW YORK     28 /10 / 89                                                                                  Gabri

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