domenica 26 ottobre 2014

L'UOMO COL CAGNOLINO

L’uomo col cagnolino.
La temperatura va rinfrescando,perciò mi affretto a rientrare,per la solita strada, verso casa; ma voglio cambiare marciapiede perché dove cammino, i palazzi fanno ombra, dalla parte opposta invece  c’è il sole, l’ultimo credo,perché il tempo volge all'inverno e, gli ultimi spicchi di sole brillano tra i rami dei filari di alberi come lampadine che si accendono e si spengono rincorrendosi.  Devo fare quest’operazione di attraversamento, sembra facile, ma non è così perché devo fare i conti con un autogrù che scarica mobili da un quarto piano e mi sbarra il passaggio. Un addetto ai lavori mi fa cenno di attendere, ma io cerco lo stesso un pertugio dove infilarmi di soppiatto eludendo la sua vigilanza, perché il sole non attende anzi, si dilegua poi riappare e riscompare tra le nuvole.
L’operatore osserva le mie mosse e le interpreta e il suo viso s’incattivisce. Il fulmine che esce dai suoi occhi s’incrocia col mio : La guerra è dichiarata !
Un grosso mobile penzola dal gancio del braccio della gru . Già la rabbia mi rode il fegato, poi scorgo che, al lato opposto, c’è un signore che tiene al guinzaglio un cagnolino, e sembra adoperarsi anche lui nella medesima operazione di attraversamento, non so se,per accaparrarsi anche lui, del raggio di sole o perché sollecitato dal cane che mira un cespuglio al cui centro si erge un bellissimo albero,un pioppo argenteo. Ci  scambiamo un occhiata : Sotto i baffetti scuri sbircio un sorriso: è un segnale d’alleanza : E’ quanto raccolgo fugacemente tra i ferri arrugginiti della gru semovente,lo chiamano 'feeling'.
. Così distraggo un po’ l’obiettivo e il mio fegato si arrende alla curiosità che scaturisce da quello sguardo compiacente che parla da se  senza specificarne per filo e per segno il contenuto. Però fa freddo e sono vestita ancora leggera, tuttavia decido all’istante che, quel raggio di sole irraggiungibile, può aspettare un po’.  
Ho barattato un sorriso d’intesa con un raggio di sole!
Per oggi sono contenta. Anche questo riscalda! 
                                                                                                    Gabri

lunedì 13 ottobre 2014

L'accadimento.

L’ACCADIMENTO

Un giorno avvenne un fatto incredibile, sia pur prevedibile, ma mai di quelle proporzioni.
Ebbene, quel giorno,l’enorme corpulenza provò e riprovò ad uscire dalla porta della modesta stanzetta della dispensa. Ogni sforzo si dimostrò vano. Provò a sgonfiare i polmoni trattenendo il respiro, provò ad allungarsi, niente, rimaneva incastrato al telaio della porta!
Tutta la famiglia si riunì,ogni membro cercava una soluzione, mentre grida esasperate uscivano dalla fatidica dispensa. Forse, intervenne il primogenito, chiedendo spazio tra le voci concitate, forse si potrebbe rimuovere il telaio della porta e,guadagnando due centimetri a destra e due a sinistra si potrebbe tirarlo fuori!  Si è una buona idea,ma se non fossero sufficienti? Proviamo! Qualcuno vada a prendere il metro. Il più piccolo arrivò,un istante dopo, agitando lo strumento: un metro da falegname. Restammo un po’ perplessi, forse era meglio un metro  da sarta! No è troppo corto. Si presero comunque le misure. Ahimè! Non avremmo risolto niente, il varco doveva cedere di almeno venti o trenta centimetri. Necessitava l’intervento del muratore.
Ma come affrontare lo scandalo? Chiamare chicchessia estraneo era come darsi in pasto alle Malelingue . la faccenda si sarebbe risaputa in un baleno in tutto il paese e,addio reputazione!
Era dunque necessaria la massima discrezione. Decidemmo di tenere tutto in famiglia.
Lui annaspava nell’insolita incredibile dimora e con un grugnito ci comunicò che aveva fame.
Sbalorditi dalla richiesta e dallo sguardo imbufalito gli portammo qualche avanzo della cena e la Frutta del vassoio centro tavola. La paura ci rese ubbidienti perché la mole, che aumentava a Vista d’occhio, ci incuteva timore e ormai avevamo dato fondo a tutte le provviste.
Fatte le dovute raccomandazioni ai ragazzi,di non perdere la calma, e profuse le scuse alla massa monolitica di cui già non si distingueva più il viso dal collo,afferrate le chiavi dell’automobile, corsi in paese. Acquistai ogni sorta di materiale edibile, pensando al domani e al dopodomani per non farmi cogliere impreparata a ogni eventuale richiesta di cibo.
L’ansia mi traboccava dagli occhi e dovetti contenermi emettendo profondi respiri per non destare sospetti o curiosità in chicchessia. Quando rientrai, la massa informe era leggermente ammansita e un braccio possente attraversò la porta afferrando le buste della spesa che avevo ancora in mano. Il gesto mi trovò impreparata e per un momento pensai che volesse farmi del male, capii un istante dopo, che il gesto era di altra natura.
Noi lo guardammo ingoiare ogni cosa a quattro palmenti senza neanche scartare gli involucri.
Ciò che credevo le provviste di una settimana sparirono in un attimo. Poi lui cercò con difficoltà inimmaginabile una posizione orizzontale e si assopì emanando un rumore simile a cavernosi grugniti come provenienti da oscure voragini di mitiche leggende vulcaniche. Il rombo era tale che fu necessario pensare al modo di coprirlo. Ogni strumento musicale venne subito attivato, la radio dava le notizie a tutto volume e la televisione mandava in onda telefilm e pubblicità senza intervalli, in breve la casa era simile a una bolgia infernale dominata da un frastuono assordante. Mauro corse al cancello ad allontanare i curiosi attratti dal baccano,adducendo pretesti improbabili di prove acustiche musicali importantissime per verificare la cassa di risonanza della nostra abitazione. Fu una miserabile giustificazione, ma chiudendo a chiave il cancello lasciò fuori la gente e i loro commenti malevoli.
Finalmente, in preda a un sonno profondo,si attenuò anche l’emissione gutturale,e abbassammo anche gli strumenti sonori. Fu una pausa che ci sollevò alquanto, ma la paura del risveglio ci preoccupava nostro malgrado. Prendemmo la notte come una coltre che ci avvolgesse proteggendoci e ognuno si accovacciò alla meglio in giacigli improvvisati, chi sul divano chi su i tappeti. Stanchi e storditi rimandammo ogni decisione al domani . Il risveglio ci avrebbe illuminato sul da farsi. Ma non andò così.
Nel cuore della notte senza luna,un boato ci catapultò da quei giacigli scomodi, la casa che era senza fondamenta, scricchiolò, il panico ci travolse inebetiti. Riuscimmo  a scorgere, durante la fuga che pensili e credenza cadevano a pezzi.
Il panico fu pari allo sgomento. Guadagnammo la porta e fu una fuga a gambe levate, una fuga scoordinata mirata a scampare un pericolo immanente e incontrollabile.
Ognuno seguendo il proprio istinto di conservazione prendeva la direzione più consona alla propria salvezza. Di lì a poco si udirono sirene spiegate,auto che sgommavano e frenavano a gran velocità, insomma, un finimondo!
Intorno alla casa in poco tempo ci fu un caos di forze dell’ordine, pompieri, agenti, ambulanze
E quant’atro immaginabile.
Nel paese, l’accaduto,ebbe la naturale risonanza, nei circoli, nei bar nei salotti non si parlava d’altro,  ognuno raccontava ’’ sui proprio’’ ‘ della vicenda .Mille versioni soggettive e suggestive animavano la piazza principale della borgata, fino a quando, com’è naturale, il tutto andò in dissolvenza e si passò ad altri avvenimenti. Però rimase un mistero per tutti.
La casa mezzo diroccata fu poi venduta sottocosto per via della leggendaria dispensa.
Di noi e della nostra famiglia non si ebbe più traccia.

Per quanto mi concerne, per un anno intero sognai elefanti e pachidermi,e a nulla valsero le sedute dallo psicanalista che, ben presto, furtivamente ma con eleganza si defilò dall’impegno.  La verità è che rimase scosso e impressionato dal mio racconto ed ebbe timore e discreta paura di estorsioni e coinvolgimenti di varia  natura. Ma non fu solo lui a defilarsi con garbo , ma anche tutti quelli che seguirono .
Più avanti mi colse la fobia di ingrassare ed ebbi per molto tempo l’idiosincrasia alle dispense ma anche agli ascensori e agli sgabuzzini in genere.  L’ultimo medico diagnosticò sarcasticamente e ipocritamente:  Claustrofobia.  Fu allora che, delusa, abbandonai ogni terapia di quel genere.

I ragazzi non si ripresero più e, ognuno,autonomamente,seguì la propria strada.

Mauro, partì per l’Africa per studiare i comportamenti degli animali in cattività e dedurre le reazioni  scientifiche. Ebbe,seppi, grandi riconoscimenti di validità in quel campo, tanto che di lui si parlò in diverse riviste settoriali.

Il più piccolo, Gianluca, divenne scrittore di fiabe e convinse se stesso e gli altri dell’esiguo confine tra la fiaba e la realtà. Scrisse  racconti incredibilmente surreali e interessanti per tutte le età, alla stregua di Alice nel paese delle meraviglie e anche di Franz Kafka, a mio avviso.

Bamby,  allora  “Bambolina”, la più piccola divenne antropologa e, in quanto tale, fece le sue ricerche  sull’umanità attraversando oceani e raggiungendo terre lontane per meglio comparare
I “modus vivendi” degli inquilini del pianeta. Soggiornò in lussuose pagode ma verificò la vita anche nei pittoreschi mercatini sul Mekong. Arrivò anche in Alaska dove scoprì che i pinguini avevano uno stile di vita più dignitoso degli umani.
Dopo aver sviluppato studi in oriente e sul polo, raggiunse le popolazioni tribali dell’America e fu talmente affascinata  da quei luoghi e dai costumi che vi si prese la cittadinanza.

Da allora non ho più notizie ma il cuore mi dice che lì ha trovato la sua ideale dimensione. Chissà!
Mai più ci rincontrammo fisicamente tutti insieme. Credo per una implicita intesa: Paura di ricomporre tutte le tessere di un mosaico da dimenticare.

Tuttavia, ci sentiamo di quando in quando telefonicamente e, in quei momenti, sentiamo Il fluido dell’affetto che mai ci ha diviso ,e che la lontananza è un vincolo fortissimo che ci tiene uniti all’infinito, nel bene e nel male. 

martedì 7 ottobre 2014


AUTUNNO A NEW YORK
Prima tappa: Central Park Impareggiabile la nostra guida, Giovanna. E’ nativa di Ferrara ma vive da 26 anni a New York. Ci ha trasmesso in questa veloce escursione,tutta la sua devozione per questa città,si capisce che la ama. Ne conosce ogni angolo ,ogni stradina,sa dove cadono le foglie, dove va a finire il tuo pensiero, percepisce con felicità il tuo stupore mentre cammini con lo sguardo perso verso questo strano cielo incorniciato di pareti a quadretti,dove la luce, nei pertugi tra una pagina e l’altra,gioca rimbalzando sui vetri.
Sono le otto e trenta del mattino,mentre in Italia il mondo è già a tavola, noi ci siamo appena svegliati e ci lasciamo alle spalle l’albergo: al di là della strada ci attende una limousine taxi che occupa tre terzi del marciapiede e che Giovanna ha fermato al volo.
Ci accomodiamo e, mentre la nostra guida dà disposizioni all'autista sulla destinazione, noi ci scambiamo occhiate che sono tutte un programma e che non necessitano di parole.
Giovanna ci aveva esaminato bene la sera prima,quando è venuta a prenderci all'aeroporto.
Ha capito che volevamo vedere il meglio e in poco tempo, appena un giorno e mezzo.
Gambe! Ha detto, ci vogliono gambe e cuore naturalmente. Così ci ha voluto far assaporare in anteprima,un tocco di magia,il sogno vero o la realtà fantastica di questa città prestigiosa sofisticata ma pure umana, al di là dei suoi mille piani proiettati verso il cielo.
Ci ha condotto dunque al Central Park che spacca in due il cuore di New York e pure
quello dei newyorchesi per riavvicinarli a respirare con tenerezza l’autunno più incantevole del mondo,quello immortalato da Frank Sinatra tra le righe di ‘’ Autunno a New York ‘’
Qui l’autunno è un gioco di maestria impareggiabile,dipinto in una realtà impareggiabile da un pennello di elevata arte. Tra la nebbiolina diffusa appare un collage aereo di colori crepuscolari dove le foglie si spengono tra una moltitudine di sfumature e, interpretano il ruolo più rilevante nel tema autunnale. Vivendolo così in prima persona, questo spettacolo, ho capito d’aver capito perché nessuno resista al brivido che ti percorre dinanzi alle cose che si impadroniscono di te lasciandoti incapace di opporti, e tali cose ‘più grandi’ comunicano con te.
Dolce, sofisticata,New York diffonde dal suo parco,come un essenza, questi sentimenti per tutti coloro che vi vivono ma di più per quelli che sopravvivono in una intesa collettiva che fornisce loro un legame di umanità fraterna. Ad ognuno dà un illusione di serenità sotto forma delle sue mille sfumature dei suoi colori,e della luce che esprime le sue variazioni cromatiche. E’una concorrenza  di movimenti ,di aliti di vento,di luci, di cristalli, di riflessi. E’ un sorriso enigmatico di Monna lisa impercettibile e presente.
E’ la vittoria della solitudine,quella vera,che accampa la sua piccola tenda in un angolino di ognuno di noi.
Uno specchio di lago,raddoppia gli effetti capovolgendo il cielo, mentre piccoli scoiattoli ci attraversano timidamente la strada. Ho la testa satura di emozioni, gli occhi che strabuzzano da un punto cardinale all’altro, anche i sassi sono belli, ne raccolgo uno;
Ci scriverò: Autunno a New York, mi servirà a farmi rivivere questi istanti. 

Circolano le biciclette e i pattinatori ai quali,per un tacito accordo, non si può interferire la corsa. Giovanna ci guarda con un sorriso,mentre il passo ci affanna,e ha l’aria di prometterci altre emozioni ma non si lascia andare in spiegazioni.  Tutto sarà imprevedibile proprio come lei.
Il tempo stringe, anche se qui, le giornate sembrano più lunghe (forse lo sono) e il parco non è per chi ha fretta... Ce lo lasciamo alle spalle pronti ad assaporare altre rare sorprese.
Ci inghiotte il metrò,il treno velocissimo raggomitola distanze lunghissime sulle sue
ferraglie rumorose. Siamo subito nel quartiere di Harlem. Pericolosa e affascinante ne
percorriamo le varie fasce italiane,cinesi,spagnole,negre ed ebraiche,ognuna col suo
capitolo di peculiarità, di storia e di aneddoti che Giovanna ci racconta strada facendo
La padronanza e la sicurezza che lei ostenta ci rende invulnerabili, al suo fianco siamo dentro una sorta di perimetro protetto. Scambia frasi, a noi incomprensibili con questo o quello e procede disinvolta, sembra conosciuta e rispettata nell'ambiente.
Ci aveva precedentemente ammonito di avere un passo deciso, la borsa ben stretta sul
davanti,un abbigliamento casuale ma soprattutto nessuna aria da turista spaesato.
Giovanna ci parla,lungo il cammino, degli ‘’Spiritual  e ci informa che si tratta di un
culto religioso della gente di colore ma che accampa proseliti anche di razza bianca e di tutti coloro che abbiano fede fervente in Dio e Gesù suo figlio naturale. Il culto risale all'incontro degli schiavi afro-americani con la religione cristiana che stillò nei loro cuori qualche barlume di speranza e i primi segni di ribellione allo stato di schiavitù. Poiché oggi è domenica,giorno di funzione, Giovanna ci indica a gesti discreti i fedeli che si recano alle loro chiese; Sono gruppi di famiglie di colore, vestiti in abiti di impeccabile eleganza gli uomini, e curiosissimo l’abbigliamento delle signore, per la maggiore sono grassocce e prosperose. Ma il look scioccante sta nel capellino vistosamente colorato, con o senza veletta e ornato da sgargianti  fiori di tessuto o di carta,o di penne di uccelli o di grappoli di frutta pannocchie o farfalle o quant'altro mai di impensabile.
E, ci informa Giovanna,che esso è il simbolo che risale al tempo dei tempi,alle loro origini di schiavi ed è di monito alla libertà individuale. Ecco una chiesa,Giovanna ci invita ad entrare. Siamo curiosi ma un poco scettici: andare in chiesa a New York ci pare eccessivo, noi che la frequentiamo ben poco in casa nostra. Ma lei è decisa e ci spinge dentro.
Restiamo coinvolti e stravolti dalle diversità umane. Il primo impatto entrando è quello del rispetto per l’ambiente,una sensazione di gravità ci percorre,senza volerlo, non si bisbiglia, si resta bloccati in un silenzio interiore.  L’intensità della fede che anima queste persone è davvero autentica. I canti di ringraziamento a ‘JESUS’
per il proprio esistere,per l’usufruire della luce del sole,per le sofferenze finite,per le tribolazioni passate,sono elevatissime: non lasciano alcun dubbio che Dio le abbia udite. Un rappresentante di Dio,prete in terra,non gode più luce di costoro. Le loro invocazioni,i loro ‘grazie’attraversano le pareti e si allargano a tutto l’universo,essi non sono più se stessi,sono al di là della loro pelle come in un fenomeno di estasi collettiva. E mentre tutto questo accade a noi ci percorre un brivido lungo la schiena che è il biglietto di partecipazione ,l’unico che ci venga richiesto.
Usciamo,la strada ci sorprende imbambolati, Giovanna sorride,sembra soddisfatta,
in qualche modo ci fa intendere che ci trova simpatici. Manco a dirlo,l’intesa è reciproca.
Lei è anche carina e fa finta di non avvedersi delle soste clandestine di Ugo sui pali del semaforo, che mi suggeriscono piedi straziati e  che non faccio fatica ad immaginare.
La maratona continua,fra poco conosceremo ‘Francos Blod’ il Picasso di Harlem.
E’ lui un colosso di due metri di colore nero. Sta tra Armstrong John e Sydney Poitiers, è il più grande decoratore  di Gates of Harlem, ovvero delle serrande  dei negozi.
Giovanna ci ha presentato ,e lui ci saluta come vecchi amici abbracciandoci.
La domenica mattina e i giorni festivi,il centro commerciale chiude i battenti, privando la città della sua fonte di animazione che è il via vai della gente che curiosa di vetrina in
vetrina. Quando queste sono sbarrate da pesanti saracinesche di ferro,l’effetto grigio è
ancor più deprimente. E’ a questo punto che Franco è brillantemente intervenuto a dare un tocco magico all'isola di Harlem. Sfruttando le sue naturali doti di pittore ha
trasformato il grigio squallore di ogni serranda in una magica finestra sul mondo favorendo coi suoi temi pittorici, l’occasione di risvegliare tematiche sociali, allegorie fantastiche spazi interplanetari, moniti di fratellanza e mille altri argomenti di interesse sociale e culturale. Animando la città, l’ha resa gaiamente ,una grande galleria d’arte all'aperto dove la gente. Prendendo spunto dalle sue simbologie ,trova
 motivo di scambio di opinioni di sorridere e di scottarsi le dita tra una caldarrosta e l’altra proprio come sta succedendo a noi. Franco, nel giro di pochi minuti,ci ha baciato e abbracciato, ci ha lasciato il suo autografo e ci salutiamo con la promessa di una sua visita a casa nostra dove lo attende la serranda del nostro garage.
Una pizzetta,una coca cola, un surrogato di caffè è il pasto frettoloso consumato in piedi.
Di fronte abbiamo il ponte di Brooklyn e in lontananza vediamo la statua della libertà, dietro la Chinatown sfavillante. Arriviamo in una piazza,un orologio sul cucuzzolo segna a grandi numeri le 19 e 30, non so se ai celesti o ai terrestri, ma la cosa che realizziamo con immediatezza sono le panchine. Si tratta di un ispirazione collettiva, a quanto pare, perché ognuno punta la più vicina. Sono pulite e spaziose ed io mi ci sdraio. In posizione supina scorgo ancora grattaceli e grattaceli e voglio farne entrare uno dentro il mirino della la mia  macchina fotografica.
 Mi pare doveroso portare a casa quest’ultima istantanea dato che la festa
sta volgendo al suo epilogo. Vorrei essere un vagabondo, mi penso, e parcheggiarmi una notte,in questa panchina,i grattaceli sembrano grandi camini accesi e non soffrirei il freddo, le magliette che ho comprato per me e per gli amici,con su scritto:New York mi faranno da  cuscino e domattina un cameriere in livrea,mi apparirà premuroso: Good morning! Ecco il suo caffè signora vagabonda! Desidera le uova al bacon? In effetti ho un buco nello stomaco, mentre il cuore si riempiva di emozioni quello si svuotava dei consueti approvvigionamenti. Ora stravedo parzialmente; Il bello nei film è che non si deve mai attendere quando si passa da un azione ad un'altra protratta nel tempo. Il nostro regista è invece cinica e prima di farci arrivare al ristorante ci fa passare in albergo a rinfrescarci e a cambiarci gli abiti sudati, ed è così lontano il ciac della ripresa del tavolo apparecchiato, che quasi svengo.
Il ristorante è cinese, avremo tempo per la cucina italiana, mi conforto,forse è un inizio di nostalgia,ma non di quella tradizionale, ho nostalgia di quanto è appena trascorso. Sebbene tutte le emozioni siano ancora calde qui dentro, tuttavia già mi incalza la malinconia delle cose che stanno per finire e che avrei voluto prolungare all’infinito.....Mi destreggio male coi bastoncini cinesi e chiedo a gesti una forchetta a un cameriere minuscolo e che mi fa tanto pensare a una mandorla.
Giovanna è invece molto abile e Ugo la scimmiotta con disinvoltura. Tempo sprecato, penso,è già uno strazio il pasto e non comprendo nulla di quello che mi porto alla bocca, qui non esiste il coperto di pane fresco da divorare all’istante,non è lo stesso con il riso.
Credo tuttavia opportuno di far buon viso a cattivo pasto così sto sull’ironico,mentre
guardo Ugo divorare avidamente tutto quello che passa Mao, il buon Dio cinese.
Fuori è mezzanotte,non vedo lune né stelle,probabilmente ricusano le altitudini dei tetti di cristallo e si sono eclissate altrove. Il soffitto ha il colore del piombo. magari gli intrugli cinesi che abbiamo appena ingerito, hanno distorto un po’ la realtà; ciò che prima era vicino ora mi appare lontano. E’ l’ora del commiato e la piccola grande avventura sta per concludersi. L’ansia del rientro uccide questi ultimi istanti perché il distacco è triste. Fortunatamente una leggera sbornia rende più disinvolta questa chiusura, ma da qualche spiffero di lucidità esala la necessità del rientro al vecchio sillabario delle cose di casa nostra.
Ero andata quasi perdendo memoria e gusto dell’uscire fuori della propria città, ed ora sono paga d’aver cavato da questa avventura qualche momento di felicità per riamare questa inverosimile vita,e ne ho avuto un insperato risarcimento che avrà,anche postumo, uno scopo terapeutico nella semplice rievocazione dello stesso, se pur condita da una febbre di nostalgia. Dunque è vero che fuori dal nostro contesto abituale,il mondo ha straordinari messaggi e lune diverse dall'ordinario quotidiano.
 NEW YORK     28 /10 / 89                                                                                  Gabri

venerdì 3 ottobre 2014

LE BAGUETTE

Le baguette                                                                                                                                        

Cappotto, sciarpa e borsa della spesa : sono arredata di tutto punto per uscire di casa. Pronta ad allargare i confini delle pareti domestiche, e pronta a dare un senso alla giornata di oggi che sia diverso da quella di ieri, basta anche solo una sfumatura che ieri non c’era. Magari hanno inaugurato un nuovo negozio, o il fioraio ha finalmente trovato il ‘Myosotis,’che da tempo gli ho richiesto, o il pizzicagnolo, in fondo alla strada, ha qualche leccornia da gustare stasera per cena, o semplicemente un incontro con qualcuno che avevo dimenticato…
Ben venga ogni spiraglio di novità che spezzi il ritmo sempre uguale dei giorni, che non siano solo le rughe sul viso a segnare il tempo che scorre. 
Dolcissime, inguaribili illusioni ma devo pur contrastare quel germe invisibile che nutre e alimenta il passivo dell’esistenza,e guardare fuori come ‘luogo di guarigione’.
Mi accingo dunque a uscire… ma senza chiavi dove vado ? Eccole lì, al solito posto !   
Apro la porta di casa che dà subito alla strada, e avverto immediatamente qualcosa di strano. Riesco a poggiare il piede sull'unico gradino, che vengo travolta da una moltitudine di gente, sono spintonata e ingoiata dalla folla. Sembra una marea umana. Io, che convivo con la solitudine, ecco, non sono più sola! Forse è arrivata l’ebbrezza di stare in compagnia. Il miracolo s’è compiuto!  Ma che esagerazione però!  Cosa mai potrò comunicare ai miei vicini, anzi vicinissimi se mi stanno incollati alla schiena e alla pancia. Neanche respiro e la mia voce interrogativa si disperde, che a nessuno interessa un acca di quel che dico. Ma che ci sta a fare tutta questa folla? Forse una manifestazione di cui non sono al corrente? Ma il risucchio va più veloce delle mie considerazioni che già sono assorbita dentro questo serpentone umano come in un vortice che capta e aspira tutto ciò che gli sta intorno, un   mulinello incontrovertibile che incorpora rapidamente ogni elemento. Ormai io alloggio dentro questa insolita pancia ergonomicamente  commisurata agli spazi consentiti.     
Le mie gambe sono intrecciate ad altre gambe sconosciute, come in un amplesso di fraterna prostituzione,completamente consegnata fisicamente all’altrui fisicità, senza il ritegno consueto,perché la circostanza lo consente.  
Le persone sono quasi immobili perché è il serpentone che procede ‘’motu proprio’’
E’ come stare costipati su un treno che viaggia su un binario ubriaco.    
La strada che contiene questo concentrato di persone è la via Giovenale  che fa capo alla piazza della Misericordia laddove spero che questo ingorgo troverà il giusto e presumibile deflusso. Siamo prossimi a questa piazza e l’aria  si è impregnata di un odore caldo, un odore casereccio inebriante,come di pane appena sfornato.         
Come posso, allungo il collo per sbirciare l’orizzonte, dovrei scorgere la fontana che sta al centro della piazza, ma una nuvola bianca confonde la visuale,e nell'aria questa fragranza è sempre più intensa. E’ odore di pane caldo, il profumo è inconfondibile!

Il corteo procede inesorabile nel suo andamento sinuoso, ma qualcosa comincia a intravedersi sopra le teste: ecco, il cocuzzolo di una cupola fatta di grosse pietre sovrapposte,più avanti un enorme lastra, sempre di pietra e degli omini  in camice bianco che sembrano intenti a impastare qualcosa, sembra farina con acqua attinta con secchi in un continuo via vai dal pianale alla fontana. Quanto vedo dà conferma al mio naso, l’odore pare coincidere,stanno proprio  amalgamando farina e acqua, i due ingredienti, unici ed essenziali, per dare vita al pane! Intanto un calore piacevole si propaga nell'aria. L’unica inconfutabile deduzione è che la piazza si  sia trasformata in un immenso panificio all'aperto. Ha dell’incredibile quello che vedo, eppure son desta, non sto sognando nel mio letto: Tanta realtà umana  che mi strattona e mi soffoca, pare proprio escludere che io sia adagiata sul mio morbido talamo. 
A una curva del serpentone, intravedo gli uomini addetti alla piattaforma,che lavorano l’impasto dando forma a bastoncini  allungati, sembrano le baguette, il tipico storico pane francese ,e poi li depositano in capienti carrelli infarinati, che altri trasportano verso il forno fumante e poi, con lunghe pale, sopra la brace lucente. 
Ecco, siamo giunti ai bordi della piazza, e qui la folla comincia a sgranarsi , come un orlo che si sfilaccia. Quello che era un insieme compatto perde gli elementi della compagine come molecole che ritornano singole e libere, nel caso in specie, individui autonomi,e ognuno,quasi meccanicamente, si dirige in un luogo convenuto e, con la sporta in mano, percepisce la sua razione di baguette e, silenziosamente gratificato, si dilegua per la propria strada. Questa operazione si ripete sino ad esaurimento del materiale umano; di conseguenza , il grande serpentone animato, perde a poco a poco la consistenza del suo volume, come in una magica dissolvenza.
La piazza torna ad essere la vecchia piazza con la fontana al centro e l’acqua che gorgheggia nella quiete del mattino.  
Io sento,e sono l’unica rimasta nella piazza con la testa persa nel vuoto, che privata della  folla intorno, non sa se giovarsi di tanto spazio e gioirne o immalinconirsi del repentino vuoto. Non so cosa sia più urgente per me : se andare da uno psichiatra o lasciarmi condurre con leggerezza al piacere dell’’inverosimile’ senza cercare spiegazioni ad accadimenti per i quali i nostri sensi non sono programmati. 
Non ho sognato e, tuttavia, non voglio svegliarmi e restare imprigionata dentro codesta fantastica e incredibile avventura. Non mi resta che tornare a casa nel mio piccolo universo silenzioso. Mi libero del cappotto e della sciarpa,ma un profumo ben noto, mi torna al naso. Apro la sporta della spesa che non ho fatto, e che cosa spunta? Oh ,ma è una baguette !!                 
                                                                                                                 

                                                                                                             

NICOT

NICOT
Aldilà del colle solitario,la nebbia salendo,si addensa, e non vedo niente oltre la siepe  se non il niente , appunto.   
E’ il ‘naufragare’ degli ultimi pensieri tra lo stormire del vento,dove vagano indipendenti nella memoria perduta. Ho il sospetto che questo naufragio di rimembranze antiche, itineranti nella mia scatola cranica, abbia un nome scientifico impronunziabile...E mentre gli anni passati e l’ombra di loro riecheggia in un parapiglia di ricordi confusi, il presente invece, danza senza musica, e il ritmo è assente, e non è dolce, come dice il poeta, mentendo, naufragare in questo autunnale caos mentale.
Nel marasma del tempo accumulato, non ricordo più se erano i verbi transitivi, quelli che passavano o quelli intransitivi...o quand'è che la vocale scompare se con il troncamento o l’elisione.. Ma per fugare queste solitudini grammaticali, io conosco un rimedio : Mi accendo una sigaretta, per bruciare il tempo e, nel contempo i polmoni .
E, mentre fumo, trovo quanto sia ridicolo e funesto  il rimedio stesso,e quanto grande sia il danno travestito da piacere, e, ci aggiungo una considerazione :
Signor Nicot,  che caspita di invenzione fu la tua? Volevi forse addolcire l’esistenza agli umani con quattro capriole di fumo? Te, che anche da morto sei rimasto attivo, te impunito e mai querelato che continui a uccidere anche postumo?  Chi mi risarcirà della pelle ingiallita e del catrame nei polmoni? Ma si sa , non tutti i mali vengono per nuocere : Forse che il tuo veleno non sia un toccasana per le casse dello Stato?
E’ un po’ come sacrificarci in tanti per il bene della Patria ! E, per ringraziare la Musa per questa sublime interpretazione ispirata, me ne accendo un’altra giusto per vagare ancora un po’ nell'estasi da tabacco. C’è nebbia satura di fumo nella mia stanza, dunque apro la finestra e scruto nello spazio sconfinato del cielo e vi cercherò la giustificazione delle antinomie che viaggiano parallele nella mia persona,e sarà una richiesta d’aiuto o un pentimento per quel poco che ho fatto e quel tanto che non ho fatto. Imparare dalle proprie debolezze è sempre il migliore dei modi per riscattarsi e guardarsi dentro e ridere o piangere di se stessi, con un po’ di umorismo e commiserazione,il tanto di guardare dentro la propria immagine e scoprirne le dissonanze e le sproporzioni che non ho avvertito durante la proiezione reale delle stesse.
Sarà come tornare sui propri passi ma con uno spirito diverso, come un bambino ormai adulto che  rivede  i suoi disegnini infantili. Ma dipingere è facile quando ancora  non sai come si fa. E’ molto più difficile quando lo sai. Pablo Picasso ha detto:’ La pittura è una bugia che dice la verità’  La frase è suggestiva ma è vero anche il suo rovescio : che la verità non  si costruisce con le bugie. Tuttavia, gli scolaretti e i pittori della domenica hanno costruito meravigliose bugie !
E i giorni, ora lo so, sono come i verbi transitivi: Passano…
                                                                                                                                  Gabri