venerdì 14 agosto 2015

JULYSTAR
L’appuntamento era in un pontile della SARAS dove ci aspettava una barchetta a remi, Caronte era lì, in tuta bianca è lui che ci traghetterà verso l’obiettivo della nostra morbosa curiosità di visitare il relitto della nave JULYSTAR, esplosa al largo di Sarroch. Il mare è una piatta azzurra e le nuvole,all’orizzonte, sembrano un tutt’uno: mare e cielo  confusi e indistinguibili, una distesa unica, senza confini.
Con agilità saliamo a bordo della barchetta che ha passato il convento e andiamo.
Il conducente è di poche parole e anche incomprensibili ma i gesti sono eloquenti e a noi basta. Il silenzio è rotto solo dallo ‘splash’ dei remi che fendono l'acqua con movimento sincrono e lento…
L’oggetto da raggiungere sembrava ancora lontano, e man mano che si riduceva la distanza, ci appariva nelle sue dimensioni reali: un moncone di nave gigantesco. Giunti quasi a sfiorarla, il nostro marinaio ripiega verso lo squarcio.
L’impatto  ai nostri occhi è forte e dà un brivido lungo la schiena: un groviglio intricatissimo di travi, ferri, lamiere contorte e quant’altro che non so  descrivere a parole, un quadro surreale, resoconto finale di un’esplosione di inaudita potenza.
L’altra metà della nave era stata acquisita dalla compagnia navale ‘’Onorato’’e trascinata via altrove . Il nostromo ,avaro di parole, sa però il fatto suo e dopo la terrificante prospettiva frontale del disastro, dirige il natante verso la fiancata del bestione, splash  splash  ,imperturbabile.
Lui non ama socializzare e noi siamo all’oscuro del programma della visita,siamo assai perplessi e ci domandiamo…ma la risposta è presto lì davanti ai nostri occhi: Una biscaglina.
La prima immagine che mi venne in mente fu la stazza del palazzo di mio padre a Cagliari, perché aveva gli oblò secondo l’architettura dell’epoca.
Lo sgomento è totale. Nella parete altissima della murata penzolava la biscaglina,unico mezzo per guadagnarci la cima. Fu il panico ma non avevo altra scelta,troppo casino avevo fatto per ottenere il permesso di visitare questo relitto di nave, così obsoleto, al largo del mare del mio paese natio. Certo non mi aspettavo un ascensore! Ma una scaletta di spago fissata ai limiti del cielo, questo no,non me l’aspettavo!
Quella scalata, piede dopo piede, faccia faccia con la parete, piolo dopo piolo, mi è rimasta scolpita nella memoria. ‘’ Come potrò dire a mia madre che ho paura?’’ 
E’ Fabrizio De Andrè che canta nell’altra stanza mentre ripenso a quei momenti.
Guardo giù e la barchetta è un puntino, la parete invece è incommensurabile e minacciosa,e siamo solo a metà strada. E’ il prezzo della paura, continua De Andrè.
Mi viene di chiedere aiuto a un mio amico immaginario riprendendo un discorso mille volte sospeso…
Marcondirondirondero,se arriverò lassù farò una gran festa Marcodironderondà .
Continua la ballata che riecheggia dalla stanza accanto.
Sono all’ultimo piolo,con un colpo di reni disperato, trasferisco una gamba sulla nave e il mio piede poggia finalmente sulla terra ferma (si fa per dire), segue tutto il resto anche se a rate, e …voilà sono a bordo ! sono tutta intera e sto bene grazie a quel cielo che ora mi sembra di poter toccare con un dito.
Il secondo tempo dell’avventura ci riserva tensioni differenti . Qui sopra c’è un silenzio che spacca i timpani e l’aria insieme, un silenzio sinistro.
L’immobilità regna sovrana e implacabile come in un incantesimo congelato dopo un uragano improvviso. Con un senso di angoscia visitammo alcune cabine: letti scomposti, scarpe, indumenti,fotografie, berretti tutti sparsi ovunque. Io raccolsi un oggetto per ricordo che, ancora conservo da qualche parte. Non ci tratteniamo a lungo in questa visita, non ci parve giusto curiosare troppo in questo luogo che il destino ha scelto per i suoi imponderabili misfatti. Tornammo all’aperto a riprendere fiato e a ricomporre lo stato d’animo.
Il marinaio era rimasto fuori,lo scorgemmo seduto sopra un rottame di ferro con lo sguardo fisso nel vuoto, pareva non vederci. Ci ricondusse alla biscaglina che ormai non ci incuteva più paura, facendoci capire che  eravamo liberi di andar via da soli con la barchetta . Lui rimaneva lì sul ponte,non spiegò i motivi della sua decisione e il suo sguardo restava lontano. Tutto questo ci indusse a una forma di rispetto e, salutandolo con un gesto della mano,riprendemmo la biscaglina a ritroso.

Arrivati in prossimità del pontile notammo un po’ di fermento concitato e qualcuno che gridava: Eccola, eccola!! Erano allarmati perché mancava il natante. Quando descrivemmo fisicamente l’aspetto del nostro accompagnatore rimasto a bordo,si fece silenzio intorno e  tutti si allontanarono dal pontile. Concludo rubando alcune parole dai versi di De Andrè :
Tutti dormono, dormono, dormono su quella nave, anche il figliolo del nostro  imperscrutabile accompagnatore.                 
                                                                 



                         









Gabri

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