lunedì 2 novembre 2015

IL GIORNO IN CUI TU NACQUI.



        
  

Il giorno in cui tu nacqui, con quattro giorni di ritardo,

l'infermiera mi portò a vedere il fagottino nuovo nuovo appena atterrato per via
 cesarea.  
Uno sguardo fugace mi fu sufficiente a capire che eri tu quella che avevo ordinato.
Ti avevo già vista tanti anni fa in sogno e all'istante capii che eri proprio tu, tale e quale quella del sogno.
Balbettai, ancora sotto l'effetto della anestesia : ''è sana?''.
Udita la risposta positiva, ripresi subito il mio sonno indotto.
Al risveglio, notai che i miei parenti ti avevano vestita 
piuttosto male e ho preteso che ti mettessero i nano blue jeans 
e la maglietta a strisce blu che avevo trovato in un negozio 
speciale per neonati speciali compreso il cappellino alla
'' Gavroche '', come lo scugnizzo di V. Hugò, nel suo celebre romanzo. Allora,l'accostamento
 mi era apparso strepitoso, e quando ti vidi ne ebbi la certezza fulminante; ma non fui capita dagli astanti, gufi e brontoloni, che chiamarono subito il dottore per una visita trasversale.
Fu da allora che i miei parenti incominciarono a guardarmi con sospetto...
Quei blue jeans e la maglietta a strisce, che mi stanno nel palmo della mano, ancora li conservo in un cassetto.

Caspita però, quanto sei cresciuta!
TANTI AUGURI ROBY !!!!       
da m.usca     Auguri da Dino Zoff
X EVER                      
                                     
                                                                                                                                                                               
                                                                               
                                                                                 GABRI                                                                                                                                          


                 
     
                           
                                                                           



  

venerdì 14 agosto 2015

JULYSTAR
L’appuntamento era in un pontile della SARAS dove ci aspettava una barchetta a remi, Caronte era lì, in tuta bianca è lui che ci traghetterà verso l’obiettivo della nostra morbosa curiosità di visitare il relitto della nave JULYSTAR, esplosa al largo di Sarroch. Il mare è una piatta azzurra e le nuvole,all’orizzonte, sembrano un tutt’uno: mare e cielo  confusi e indistinguibili, una distesa unica, senza confini.
Con agilità saliamo a bordo della barchetta che ha passato il convento e andiamo.
Il conducente è di poche parole e anche incomprensibili ma i gesti sono eloquenti e a noi basta. Il silenzio è rotto solo dallo ‘splash’ dei remi che fendono l'acqua con movimento sincrono e lento…
L’oggetto da raggiungere sembrava ancora lontano, e man mano che si riduceva la distanza, ci appariva nelle sue dimensioni reali: un moncone di nave gigantesco. Giunti quasi a sfiorarla, il nostro marinaio ripiega verso lo squarcio.
L’impatto  ai nostri occhi è forte e dà un brivido lungo la schiena: un groviglio intricatissimo di travi, ferri, lamiere contorte e quant’altro che non so  descrivere a parole, un quadro surreale, resoconto finale di un’esplosione di inaudita potenza.
L’altra metà della nave era stata acquisita dalla compagnia navale ‘’Onorato’’e trascinata via altrove . Il nostromo ,avaro di parole, sa però il fatto suo e dopo la terrificante prospettiva frontale del disastro, dirige il natante verso la fiancata del bestione, splash  splash  ,imperturbabile.
Lui non ama socializzare e noi siamo all’oscuro del programma della visita,siamo assai perplessi e ci domandiamo…ma la risposta è presto lì davanti ai nostri occhi: Una biscaglina.
La prima immagine che mi venne in mente fu la stazza del palazzo di mio padre a Cagliari, perché aveva gli oblò secondo l’architettura dell’epoca.
Lo sgomento è totale. Nella parete altissima della murata penzolava la biscaglina,unico mezzo per guadagnarci la cima. Fu il panico ma non avevo altra scelta,troppo casino avevo fatto per ottenere il permesso di visitare questo relitto di nave, così obsoleto, al largo del mare del mio paese natio. Certo non mi aspettavo un ascensore! Ma una scaletta di spago fissata ai limiti del cielo, questo no,non me l’aspettavo!
Quella scalata, piede dopo piede, faccia faccia con la parete, piolo dopo piolo, mi è rimasta scolpita nella memoria. ‘’ Come potrò dire a mia madre che ho paura?’’ 
E’ Fabrizio De Andrè che canta nell’altra stanza mentre ripenso a quei momenti.
Guardo giù e la barchetta è un puntino, la parete invece è incommensurabile e minacciosa,e siamo solo a metà strada. E’ il prezzo della paura, continua De Andrè.
Mi viene di chiedere aiuto a un mio amico immaginario riprendendo un discorso mille volte sospeso…
Marcondirondirondero,se arriverò lassù farò una gran festa Marcodironderondà .
Continua la ballata che riecheggia dalla stanza accanto.
Sono all’ultimo piolo,con un colpo di reni disperato, trasferisco una gamba sulla nave e il mio piede poggia finalmente sulla terra ferma (si fa per dire), segue tutto il resto anche se a rate, e …voilà sono a bordo ! sono tutta intera e sto bene grazie a quel cielo che ora mi sembra di poter toccare con un dito.
Il secondo tempo dell’avventura ci riserva tensioni differenti . Qui sopra c’è un silenzio che spacca i timpani e l’aria insieme, un silenzio sinistro.
L’immobilità regna sovrana e implacabile come in un incantesimo congelato dopo un uragano improvviso. Con un senso di angoscia visitammo alcune cabine: letti scomposti, scarpe, indumenti,fotografie, berretti tutti sparsi ovunque. Io raccolsi un oggetto per ricordo che, ancora conservo da qualche parte. Non ci tratteniamo a lungo in questa visita, non ci parve giusto curiosare troppo in questo luogo che il destino ha scelto per i suoi imponderabili misfatti. Tornammo all’aperto a riprendere fiato e a ricomporre lo stato d’animo.
Il marinaio era rimasto fuori,lo scorgemmo seduto sopra un rottame di ferro con lo sguardo fisso nel vuoto, pareva non vederci. Ci ricondusse alla biscaglina che ormai non ci incuteva più paura, facendoci capire che  eravamo liberi di andar via da soli con la barchetta . Lui rimaneva lì sul ponte,non spiegò i motivi della sua decisione e il suo sguardo restava lontano. Tutto questo ci indusse a una forma di rispetto e, salutandolo con un gesto della mano,riprendemmo la biscaglina a ritroso.

Arrivati in prossimità del pontile notammo un po’ di fermento concitato e qualcuno che gridava: Eccola, eccola!! Erano allarmati perché mancava il natante. Quando descrivemmo fisicamente l’aspetto del nostro accompagnatore rimasto a bordo,si fece silenzio intorno e  tutti si allontanarono dal pontile. Concludo rubando alcune parole dai versi di De Andrè :
Tutti dormono, dormono, dormono su quella nave, anche il figliolo del nostro  imperscrutabile accompagnatore.                 
                                                                 



                         









Gabri

sabato 11 luglio 2015

SESSANTATRE TRENTANOVE VENEZIA

SESSANTATRE  TRENTANOVE  VENEZIA
Conobbi Renzo tramite gli annunci pubblicitari di un’agenzia immobiliare di Grosseto. Non che volessi acquistare una casa (questo non glielo dissi mai naturalmente) ma perché, visitare le case,per me è sempre stata una passione. E ad essere sinceri, Renzo è molto attraente, non fisicamente intendo ,ma come persona: semplice e piacevole. Con lui ho visitato le case più strane,da quelle rurali tipiche della Maremma a quelle con pretese di antichi manieri abbandonati e comunque affascinanti. L’ultima delle visite, prima di riprendere il treno per rientrare, non era eccezionale, però Renzo ha riconosciuto nel proprietario un vecchio compagno di scuola; entrambi nati a Venezia. Educatamente e divertita della ‘carrambata’ ho ascoltato le reminiscenze dei due che non si vedevano da quarant’anni, ma che avevano avuto un’adolescenza in comune. Renzo nel corso del dialogo ha affermato di avere 63 anni e stabiliscono che entrambi sono nati nel  ’39 appunto.
Curioso, penso, questi due numeri così stranamente rovesciabili..
Io, religiosamente in disparte, rimugino su questa strana combinazione e non ritengo opportuno informarmi sul giorno e il mese,anche se ero tentata, magari erano anche gemelli!  Finiti i salamelecchi,baci,abbracci e promesse di rivedersi, lasciamo la casa degli incontri casuali e Renzo mi accompagna alla stazione dove prenderò il treno per Roma. Come è mia abitudine ,una volta sul treno, pesco dalla borsa il libro di turno che mi estranea totalmente dalla moltitudine viaggiante.
Finalmente a casa preparo una cena frugale per due,c’era anche mia figlia Roberta, nel frattempo accendo la tv, sistema infallibile per catturare il sonno. Poi m’infilo a letto a dormire. Dimenticavo, era venerdì quel giorno.
Quasi sempre mi alzo alle sette o giù di lì ; ma quel mattino quasi meccanicamente mi sono vestita per uscire, non lo faccio quasi mai senza un motivo giustificato. Il più delle volte ciondolo tra un caffè e l’altro o i letti da disfare e ricomporre, insomma me la prendo con calma. Non so perché quella mattina mi son trovata per strada così presto. Ma si, mi dico tanto prima o poi qualche spesa la devo fare! Ma forse  dentro di me una ragione c’era :Un istinto inconsapevole sapeva che avevo finito le sigarette! E’ probabilissimo anzi. Magari non fumo per tutto il giorno,ma devo sapere che a casa ci sono. Io non so spiegarmi perché qualche rotella del mio cervello funzioni così , ma sto al gioco e trovo che è meglio assecondarle se ne tiro un vantaggio.
Sono in istrada e svolto alla traversa consueta, lo sguardo è attratto subito dal pavimento del marciapiedi: c’è un’insolita pubblicità appiccicata sul selciato,è un adesivo con su l’immagine di una freccia color arancione ben visibile , dopo pochi passi ne segue un’altra,e un’altra ancora, sembra che vogliano suggerirti un percorso e guidarti non so dove. Chissà cosa devo acquistare mi chiedo comunque sono incuriosita e le seguo: svolta qui ,gira là ,ma ecco l’ultima, proprio sull’ingresso del tabaccaio! Beh,  non mi resta che entrare! Dietro il banco c’è una signora dai modi gentili: Buon giorno! Buon giorno ! faccio eco . A fianco all’espositore delle sigarette c’ è un reparto con su scritto ‘ RICEVITORIA ‘ ‘ Lupus in fabula’,il mio pensiero corre a quei numeri che la sera prima mi avevano tanto incuriosito durante la ‘carrambata’ di Renzo e company. Va da se: mò me li gioco al lotto !
Non essendo molto pratica, chiedo alla signora dai modi gentili le istruzioni per l’uso.
Bene, 63 e 39 e sulla ruota di Venezia ,naturalmente!  La signora sorride divertita e io mi domando che cosa ha carpito dalla mia faccia. Chissa!  Le jeux son  fe   Sussurro amabilmente.
Correva dunque il sabato sera….Già , il sabato alle otto su Rai uno c’è Il ‘’lotto alle otto’’. Accendo la TV mentre sul fornello in cucina sfrigola un sughetto al pomodoro per la cena. Eccola, appare sul video la schermata dei numeri del lotto che avrò visto mille volte,senza prestargli il benché minimo interesse. Entra Roberta e mi osserva un po’ schifata per la scelta del programma, e cerca di appropriarsi del telecomando che ho in mano. Io mi ribello decisamente al tentativo di scippo,lei mi guarda preoccupata intanto  Il tabellone scorre, ecco ,siamo alla ruota di Venezia : 63 annuncia l’addetta al sonoro.
Taci! Urlo rivolta a Roberta e lei prende il cellulare : chiamo il 118. Si , si c’è anche il 18 e l’88 replico io .  Chiusura: 39  Eureka! Ci sono ,ci sono, ho vinto , abbiamo vinto!
Roberta è inebetita rinuncia al 118 perché pensa che il caso è disperato.
A questo punto tiro fuori la ricevuta della giocata che agito per aria come  un trofeo.
La disambiguità è finalmente superata .Si è ristabilito l’ ordine e io non sono più pazza.
Entra una nuova fase , quella del conteggio della vincita .Oibò ,un ambo in ruota fissa non è una vincita da poco, ed è qui che subentra l’unanimità di vedute.
Altra fase: lettura sul retro della ricevuta le istruzioni per il calcolo; carta e penna.
Moltiplicazioni, divisioni ,logaritmi e quant’altro sia utile a scoprire l’entità del premio. I calcoli si aggirano sul mezzo milione di lire o giù di lì. La matematica di Roberta era sicuramente più fresca della mia, ma alla fine siamo planate entrambe sulla stessa cifra a dir poco ragguardevole né poi smentita al momento dell’incasso al botteghino
Questo è quanto è avvenuto il 7 settembre del 2002. Roma                        Gabri

martedì 28 aprile 2015

I sicari del Rosario

I sicari del Rosario.             7 novembre 1991

Mi sveglio come sempre con la solita speranza: che oggi sia un po’ meglio di ieri, virtuosa speranza perché stamattina il buon giorno ha ‘odore’ ,per fortuna, e non ‘sapore’di acidi,topicidi, vernici che infarciscono il mio primo caffè mattutino.
Qualcuno mi vuole far fuori, ma non è abbastanza abile (o lo è?) Certo il profumo che esala dalla tazzina del caffè non è proprio quello esatto. Si direbbe un caffè corretto,non so a che cosa, se al Creatore o alla provocazione. Se distrattamente avessi trascurato di licenziare l’ultima briciola di ottimismo la voglio usare per far valere l’estrema ipotesi che sia solo un film o la coda di un sogno. Ma Cristo! non vivo sola! Quindici anni appena fatti sono troppo pochi per sperimentare una lavanda gastrica o un lettino all'obitorio.
Che infamia! Gesù perdona le nostre colpe e abbi misericordia dei coglioni!
Sono stanca di cadaveri di topi sulla soglia della porta,sono stanca di ruote bucate e di lampadine fulminate. Sono stanca di tutto quello che non so e che si sta perpetrando alle mie spalle. Cerco umanità tra quelli che non ce l’hanno con me. Ma che ingenuità, (dove vivo?) Ognuno se ne fotte. ‘Umanità’ è una bella parola da sfoggiare quando non serve,mai da consumarne i contenuti quando si presenta l’occasione di metterla in pratica.
Mi ci è voluto un fracasso di tempo per capirla questa elementare realtà, ma ora che l’ho capita ho un avvenire pieno, ma di botte e rispettive risposte. Per esempio: ora mi guardo le spalle ma ,guarda caso,la botta mi arriva proprio sulla mascella. Devo stare più attenta,fulminea. Ma come difenderci? siamo sole e lontano da ovunque . Al limite potrei affittare un ‘gorilla’ ma mi toccherebbe mantenerlo e non so sino a che punto.... meglio non rischiare di lavare i calzini anche a lui. Che fare allora? Aspettare che mi facciano fuori? Se ci riuscissero sarebbe finalmente una prova concreta il mio scheletro incrinato! Ma se svento ogni tentativo chi mi crederà mai allora? Naturalmente è preferibile un falso bugiardo vivo a un morto sincero. 
Scusate se vado un po’ a spasso con le parole, ma mi sia concessa l’attenuante delle circostanze insolite e paradossali. La notte  pullula di fantasmi che pure hanno un entità corporea a me nota:  Due squallidi personaggi Assoldati da un sedicente boss, una infelice caricatura di viver ; capelli lunghi,basette, chili dismessi e fantastici progetti di grandezze esilaranti.....Le testate di ‘Le mond’ inneggiano a un neo Lamborghini sardo..
Vaneggiamenti di un cranio vuoto che sogna orizzonti di grandezze e luccichii non adeguati ai meriti e alle sostanze reali. Ma torniamo al mio caffè corretto confezionato da i due energumeni : Lei  una attempata prostituta campagnola senza particolari avvenenze,
Lui  un bevitore e guardone..Che strane creature! Ma come siamo caduti in basso!!

Caro De André il letame non sempre produce i fiori che tu canti. Ma forse questa è l’eccezione che conferma la regola.                                                                                                                G.