domenica 24 gennaio 2016

VOLEVO UN MASCHIO


 VOLEVO UN MASCHIO
Io lo osservavo di nascosto, lui che piallava, con mano esperta ,tavole di legno in falegnameria. Mi piaceva quel profumo di  taglio fresco e i trucioli che cascavano lentamente sul pavimento. Sembravano riccioli biondi. Se mi avesse scoperto li nascosta dietro un trave, mi avrebbe squadrato con disgusto, uno sguardo che mi riservava spesso: aggrottava la fronte e storceva il labbro inferiore, e senza proferire parole, mi annientava nella persona e nell’animo. Io allora scappavo a nascondermi. Se avessi osato dire qualcosa,forse mi avrebbe riempito di botte.  Ma non l’aveva mai fatto, sebbene l’avrei preferito a quello sguardo che mi fulminava e a quel sorriso bieco sotto i baffi a spazzola.
Era inspiegabile per me, bambina, quella reazione così sproporzionata rispetto all’entità inesistente della mia colpa. Ma finii per accettarlo come naturale rapporto  tra padre e figlio. Poco sapevo di come scorreva la vita tra le pareti delle altre case, a parte qualche sospetto che mi assaliva di tanto in tanto. Il mio mondo domestico era un fortilizio a regime di carcere, e lo percepivo come un sapore d’agrume sia pure inconsapevole. Il giorno in corso era identico a quello appena passato, stesso ritmo stesse paure Io, topolino, ero persino diventato astuto a scansare ogni incontro col ‘gatto‑ padrone: per questo avevo  studiato nascondigli dove scomparire quando lui compariva, e lì consumare quell’insopportabile inerzia misurata in giorni, ore settimane sempre uguali.
Un isola nell’isola, mai ospiti, mai visitatori: ogni giorno ucciso da uno spietato niente di nuovo. Una distrazione io però l’avevo trovata. Non esiste libertà che la necessità non sappia inventarsi per fuggire dal ‘nulla’ e uscirsene con un pretesto e andarsene lontano  come chi non sa dove andare ,è come un salvagente che ti consente di non annegare :  Era una finestra da sempre sigillata di uno sgabuzzino,sbaganaio di roba vecchia da sempre ignorato. Al di la di  quel vetro, c’era  un piccolo cortile sgocciolatoio di acqua piovana ,e sorpresa ! una forma di vita: due gatti ! Non floridi di aspetto ma pur  sempre uno scorcio di esistenza rubato,un infrazione alla regola del ‘nulla’.
Riportato il vetro alla sua naturale trasparenza  ,io non mi stancavo di guardarli con la voluttà quasi ossessiva  di sfiorarli con una carezza sul dorso scarnito. Era il mio cinema privatissimo,un evasione al ‘nulla’. Loro bighellonavano pigramente o scomparivano dietro una catasta di legname poggiato li in attesa del loro turno in falegnameria. Intanto studiavo un sistema per prodigarli di cibo..Un idea già ce l’avevo in mente:  l’ultimo vetrino in alto sulla finestra , come raggiungerlo era in fase di elaborazione.  Tutto andava fatto con circospezione, un errore mi sarebbe costato un castigo, se poi il delitto era flagrante, non osavo pensare alle conseguenze, alla punizione per darmi una lezione che fosse peggiore del peggio. Al momento i due gatti godevano della mia totale amicizia.
 E venne il tempo della scuola dell’obbligo. La pratica dell’iscrizione venne eseguita come un evento che non riguardasse la mia persona. Mi ritrovai ‘scolara’ secondo le leggi vigenti senza esserne coinvolta, come un oggetto inanimato, come un mobile da spostare da un interno a un esterno…
L’ anziana domestica mi prese per mano e mi spostò da casa all’immenso piazzale  prospiciente la scuola,in mezzo a una folla di bambini, anche loro accompagnati da qualcuno, con sotto il cappottino il grembiulino  bianco e il fiocco rosa o blu : un panorama nuovo nuovo . Fu come uscire da una stanza buia e vuota e scoprire  che il mondo era li dietro la porta, a due passi ,da sempre. ..e a mia insaputa. Ed era un mondo animato di bambini e bambine come me, salvo che loro erano allegri e chiassosi.  Io , lasciata sola nel  grande piazzale, restavo immobile, incapace di realizzare quanto avevo di fronte.  Un signore poco distante, in camice blu con una specie di tromba che portava alla bocca,dava disposizione ai maestri per la formazione delle classi e pronunciava a gran voce, di volta in volta, il nome e cognome  dei bambini che il genitore poi accompagnava nell’area stabilita. Io trepidante aspettavo il mio turno di chiamata .   Anch’io, a momenti, sarei diventata ‘ qualcuno ‘ con nome e cognome. Perciò ero attentissima ,ero tutta e solo orecchie. e quando udii  il mio nome echeggiare nell’aria fu come un riconoscimento, coram populo ,  che io c’ero, esistevo.  Quasi incredula ,ebbi  un sillabario ,pennino,quaderno e calamaio. Tutto l’occorrente di ‘’ scolara’’  Inaudito ! ero diventata qualcuno o qualcosa, non capivo ancora bene…
a – i –e –o –u erano le vocali , 1 – 2‑ 3‑ 4 ‑5  erano i numeri. Fu la prima scoperta , l’alfabeto, le parole I pensierini….un mondo sconosciuto.  Le nuvole avevano un nome, una cosa sola era singolare, più cose  Erano plurali, il giorno si divide in mattina ,sera, notte e sono fasi diverse. Le ore sono 24 ,i mesi 12 e altro ancora. Era questo essere ‘’ scolari ‘’, apprendere tutte queste nozioni che, candidamente ignoravo .   E’ stato come se all’improvviso, il lume a candela venisse sostituito dall’elettricità. Tutto fu subito luce, un Inondazione di luce, e , ne fui ipnotizzata ! Pensai allora che, sei anni vissuti nell’oscurità fosse stato il prezzo da pagare per scoprire tutto questo. Ero serena e appagata,finalmente, e soprattutto curiosa,e non mi nascondevo più.  I grugniti e le occhiate di mio padre non avevano più efficacia, ne’ mi impaurivano  più. Avevo altro di cui occuparmi: il quadernetto  a quadretti ,la magica penna che traduceva,all’istante,i miei pensieri in parole. Di tutto ciò,cominciò ad avvedersene anche lui  e calcolò il cambiamento come perdita di autorità.
Smise i suoi biechi sguardi intimidatori e li trasformò in ‘indifferenza’. Ma risultò una guerra persa.
Il Padre‑padrone fu detronizzato  da uno scricciolo di ragazzina che aveva preso coscienza di essere persona pensante. L’autorità vacillava e forse gli apparivano i primi segnali della sua inadeguatezza .
Lui non sapeva niente delle vocali ne’ delle consonanti, ne’ del singolare ne’ del plurale e quando percepì queste lacune per lui fu una sconfitta, per me una rivalsa condita di pietà.  La mattina la trascorrevo a scuola, il rientro e il pranzo,momento di incontro, era veloce  e silenzioso.  Qualche momento, con le dovute precauzioni,era per i due gatti del cortile segreto che con fusa e miagolii mi festeggiavano. Ora erano ben nutriti e vivaci e li avevo chiamati Alfa e Beta.
Le lodi della mia maestra,qualora incontrava per strada mio padre, lo lasciavano perplesso. Non si aspettava questa faccia della medaglia e taceva per non perdere la reputazione di padre.
Conclusi i miei cinque anni di scuola elementare con buon profitto e una pagella esemplare e, la legge fu ancora dalla mia parte nella prosecuzione della scuola dell’obbligo. Ma c’era tutta l’estate da vivere a stretto contatto, e fu dura : mai un giorno al mare mai un amichetta da portare a casa, mi restavano i miei due gatti segreti, Alfa e Beta a stemperare la solitudine e la tensione.
La maestra, che aveva subdorato l’alchimia della mentalità del mio genitore, veniva spesso a farci visita, e non per pura cortesia. La verità è che lo teneva d’occhio. Scopo preciso era di agevolarlo nella pratica della mia iscrizione alla scuola media che era imminente e , rammentargli che, evadere a questo compimento,era un reato punito dalla legge in caso di insolvenza. Lei aveva visto lontano…
La cara maestra aveva un debole per me e aveva presente i miei temini che la sbalordivano per l’esattezza con cui esprimevo i miei pensieri. Avevo stoffa ,diceva esagerando, a mio padre che ascoltava furibondo.
Lui si sentiva incastrato !

Dunque passai alle scuole medie. La conoscenza, il latino,la storia furono il proseguo della mia formazione e, il consenso dei miei professori sbilanciarono sempre più mio padre che in qualche modo era sempre incline a ritenermi una ‘’nullità’’ La verità vera , la prova provata di questa acredine (lo capii più avanti ) non era ,in fondo diretta a me ma si estendeva a tutto il genere femminile e si traduceva così : Lui voleva un figlio maschio: io ero il maschio mancato !   Tenebre maschili !  La mia preparazione scolastica, e gli ottimi voti, non valsero, o per orgoglio o per ostinazione, a dissuaderlo della mia inutilità. Lui perseverò a combattere la sua battaglia contro i mulini a vento, ed io continuai ad essere ‘nessuno’, ignaro che nel racconto di Omero,  paradossalmente. Nessuno aveva sconfitto il mostro che voleva divorarlo.



  



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